CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: il Decreto Sicurezza colpisce ingiustamente la canapa industriale

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: il Decreto Sicurezza colpisce ingiustamente la canapa industriale

La pubblicazione della Relazione n. 33/2025 da parte dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione ha offerto, il 23 giugno scorso, la prima lettura tecnica complessiva dei contenuti del “Decreto Sicurezza” — il decreto-legge 48 del 2025, convertito senza emendamenti nella legge 80/2025. Fra i numerosi capitoli che compongono il documento, spicca per impatto economico e sistemico l’analisi dedicata all’articolo 18, norma che modifica in modo radicale la legge 242/2016 sulla canapa industriale e che — secondo la Suprema Corte — solleva contemporaneamente questioni di legittimità costituzionale, profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea e gravi criticità di ordine economico e sociale .

La Relazione ricorda anzitutto come la legge 242, varata nel 2016 con ampio consenso parlamentare, avesse consolidato un quadro di certezze giuridiche: chi coltiva Cannabis sativa L. da sementi certificate con tenore di THC non superiore allo 0,2 per cento — tolleranza tecnica 0,6 — opera al di fuori degli obblighi autorizzatori previsti dal testo unico sugli stupefacenti e può destinare le materie prime a un ampio ventaglio di impieghi agro-industriali, alimentari e cosmetici. L’articolo 18 ribalta questo impianto: vieta senza eccezioni importazione, lavorazione, detenzione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna, vendita anche qualora siano essiccate o triturate, nonché di qualsiasi estratto, resina o olio che le contenga . Ogni violazione ricade immediatamente sotto la sfera penale degli articoli 73 e seguenti del d.P.R. 309/1990, con conseguenze severe sul piano della libertà personale .

Nel provvedimento compare un’unica — e, secondo i giudici, meramente teorica — via di scampo: la possibilità di “lavorare” i fiori esclusivamente per la produzione agricola dei semi. Tuttavia la Relazione sottolinea che tale deroga richiede processi di separazione e tracciabilità talmente complessi, costosi e difficili da documentare in giudizio da risultare, di fatto, impraticabile e antieconomica per qualunque azienda del comparto .

Sul versante costituzionale, la Cassazione si sofferma sulla mancanza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza. Non vengono infatti individuati dati scientifici o emergenze di sicurezza che giustifichino l’uso dello strumento del decreto-legge per un tema che attiene alla produzione agricola; da qui il dubbio di violazione dell’articolo 77 della Carta . Si aggiunge il problema del principio di legalità: trasformare in reato una prassi da anni riconosciuta lecita, senza delimitare puntualmente la condotta penalmente rilevante, rischia di minare la tassatività e la prevedibilità richieste dall’articolo 25 della Costituzione .

Non meno rilevante è il capitolo europeo. La Corte richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia — in particolare la sentenza Kanavape del 2020 — che riconosce la libera commercializzazione dei prodotti derivati dalla canapa “nella sua interezza”, comprese le infiorescenze, a condizione che provengano da varietà registrate e rispettino i limiti di THC. Il divieto selettivo introdotto dall’articolo 18 è qualificato come misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, vietata dall’articolo 34 del TFUE; la mancata notifica preventiva alla Commissione, indispensabile per ogni nuova “regola tecnica”, espone l’Italia a una procedura di infrazione e offre ai giudici nazionali il potere-dovere di disapplicare la norma interna in contrasto con il diritto dell’Unione .

La Relazione delinea quindi le ricadute economiche: il settore italiano della canapa industriale, definito “coltura multiuso” con applicazioni tradizionali e innovative, vale circa mezzo miliardo di euro l’anno, occupa trentamila addetti diretti e garantisce 150 milioni di euro di gettito fiscale . L’intervento governativo — prosegue la Cassazione — prospetta un effetto sproporzionato, perché annulla di colpo ordini di esportazione che coprono oltre il 90 per cento del mercato delle infiorescenze, brucia investimenti e mette fuori gioco imprese giovani che hanno puntato su filiere tracciabili e sostenibili.

Al quadro critico si somma il rischio, sottolineato nel dossier, che le aziende vengano coinvolte in procedimenti penali pur avendo agito in assoluta trasparenza fino all’entrata in vigore del decreto; il passaggio da un regime amministrativo a uno sanzionatorio penale — osservano i magistrati — produce una frattura che alimenterà contenziosi e potenziali richieste di risarcimento allo Stato.

Di fronte a una lettura così chiara, Imprenditori Canapa Italia accoglie le conclusioni della Suprema Corte come piena conferma delle criticità tecniche e giuridiche che l’associazione ha sollevato fin dalle prime bozze del decreto. L’articolo 18, così come congegnato, non tutela la sicurezza pubblica e allo stesso tempo disarma un comparto agricolo e manifatturiero strategico per occupazione, innovazione e transizione ecologica. L’associazione ritiene dunque indispensabile e urgente un intervento correttivo: auspica che Governo e Parlamento riportino la disciplina delle infiorescenze nel solco della legge 242/2016, adeguandola al diritto europeo e restituendo certezza alle imprese.

Relazione 33/2025 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

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