Audizione DL Sicurezza: l’intervento del presidente Desiante

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Audizione DL Sicurezza: l’intervento del presidente Desiante

Il 22 aprile 2025, presso la Camera dei Deputati, si è tenuta un’audizione congiunta delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia, dedicata alla discussione sulla conversione del Decreto Legge Sicurezza. In questa occasione, Raffaele Desiante, presidente di Imprenditori Canapa Italia (ICI), ha rappresentato le istanze di oltre 3.000 imprese e più di 30.000 lavoratori del settore della canapa industriale, esprimendo preoccupazione per le disposizioni contenute nell’articolo 18 del decreto, che rischiano di compromettere l’intera filiera produttiva.​

Onorevoli Deputati,
Con il mio collega di Canapa Sativa Italia vi parlo a nome di 3 000 imprese, più di 10 000 lavoratori stabili e decine di migliaia di stagionali che compongono la filiera italiana della canapa industriale. Siamo agricoltori, trasformatori, ricercatori, operatori della logistica e della distribuzione, ragazzi sotto i trentacinque anni che scelgono di restare nelle loro terre invece di cercare fortuna altrove. Oggi vi parlo con profondo rispetto per le istituzioni, ma anche con la preoccupazione di chi vede in poche righe la possibilità concreta di cancellare un comparto produttivo legale, sostenibile e strategico per l’economia italiana.

La canapa non è una novità esotica. Agli inizi del ’900 eravamo secondi al mondo per superfici coltivate, e durante il Ventennio – quando l’autarchia economica spingeva a valorizzare materie prime nazionali – l’Italia superò i 90 000 ettari. Nel dopoguerra, però, lobby potenti della cellulosa e della chimica, decisero di sostituire le fibre naturali con polpa di legno e derivati del petrolio, e sappiamo essere state il frutto di una campagna volutamente menzognera e orientata a proteggere rendite industriali, non di certo la salute pubblica. Il risultato fu l’emarginazione di una coltura sostenibile. Nel 2016, con la legge 242, è stata riportata tra le colture ecologicamente utili. In otto anni la filiera è cresciuta fino a generare centinaia di milioni di euro di volume d’affari, principalmente realizzato dall’export. Non parliamo di un fenomeno di nicchia: parliamo di bioedilizia, cosmetica naturale, integratori, tessili sostenibili e innovativi e, naturalmente, le infiorescenze che l’Unione Europea considera a tutti gli effetti prodotti agricoli sicuri.

La Comunità Europea riconosce e finanzia la canapa industriale a basso contenuto di THC. Le varietà ammesse sono iscritte nel Catalogo comune delle sementi. In più, i Regolamenti 1307/2013 e 1308/2013 sulla PAC stabiliscono che la canapa industriale è un prodotto agricolo pienamente integrato nei mercati dell’Unione.
L’articolo 18 stravolge questo assetto: vieta ogni utilizzo delle infiorescenze anche quando provengono da varietà certificate a basso THC. È un po’ come bandire i semi di papavero per il solo fatto che si chiamino “papavero”, o mettere fuori legge la birra analcolica perché esiste quella ad alta gradazione: prodotti differenti, effetti radicalmente diversi. Con la canapa industriale non si ottiene mai alcun effetto psicotropo. Vietarli è dunque una misura
sproporzionata che non distingue tra uso lecito e illecito e che contraddice non solo la PAC, ma anche gli articoli 34‑36 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, i quali tutelano la libera circolazione dei beni.

Il quadro normativo europeo non tutela solamente la libertà economica: impone agli Stati di notificare qualsiasi “regola tecnica” che restringa l’accesso di un prodotto al mercato. Parlo della Direttiva (UE) 2015/1535 e del cosiddetto sistema TRIS.
Quando, lo scorso 14 marzo, abbiamo segnalato l’articolo 18 alla Commissione, il nostro dossier è stato preso in carico dall’Unità E3 della DG GROW. Nella risposta ufficiale dell’11 aprile si legge che, in assenza di notifica e di rispetto del periodo di stand‑still, “i giudici nazionali dovranno rifiutarsi di applicare la norma”. Non lo dice Imprenditori Canapa Italia, lo dice la Commissione europea, richiamando tre sentenze della Corte di Giustizia

• C‑194/94 CIA Security – Una norma tecnica non notificata è inapplicabile ai cittadini.
• C‑443/98 Unilever Italia – Se lo stand‑still non viene rispettato, la norma è nulla.
• C‑86/22 Papier Mettler – I giudici nazionali devono disapplicare immediatamente la disposizione illegittima.

In definitiva, secondo quanto rilevato dalla Commissione europea, l’articolo 18, se pur già in vigore, è privo di legittimità: si tratta di una norma da disapplicare, che genera contenziosi e costi per lo Stato senza offrire alcun reale beneficio in termini di sicurezza.

Temo che il dibattito pubblico confonda la canapa con la cannabis ad alto contenuto di THC. Nella canapa industriale il THC è irrilevante, mentre contiene il CBD, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito, nel 2017 che “non crea dipendenza né abuso” e non deve essere inserito nelle tabelle delle sostanze stupefacenti. Nel 2020 la Corte UE, con la sentenza “Kanavape” (C‑663/18), ha ripreso quel principio: gli Stati possono limitare e non vietare solo se provano un rischio concreto e proporzionato per la salute.
Anche nell’ipotesi, meramente teorica, che un consumatore riuscisse ad assumere chilogrammi di infiorescenze in un lasso di tempo estremamente breve, non si produrrebbe alcun effetto psicoattivo apprezzabile. Ciò in quanto l’elevata presenza di cannabidiolo (CBD) – la cui azione antagonista sul THC è ampiamente documentata dalla letteratura scientifica internazionale – svolge un comprovato effetto inibitorio sui recettori psicoattivi. Ne consegue che un divieto generalizzato non offre alcun beneficio per la salute pubblica, ma piuttosto sottrae il mercato ai controlli, alla tracciabilità e alla fiscalità dello Stato.

Se manteniamo in vigore il divieto indiscriminato introdotto dall’articolo 18, metteremo a rischio l’intera architettura economica del settore. Significa compromettere 30000 posti di lavoro. Significa cancellare un volume d’affari annuo di centinaia di milioni di euro, cui corrispondono più di 150 milioni fra imposte dirette e indirette versate all’erario ogni anno. A questi si sommano i costi sociali tra sussidi di disoccupazione, riconversioni forzate e contenziosi giudiziari.

Il settore non chiede zone franche. Chiede:
• Tracciabilità digitale obbligatoria: ogni lotto, dal seme alla vendita, registrato in blockchain o banca dati ministeriale.
• Etichettatura trasparente: contenuto di cannabinoidi, origine geografica, destinazione d’uso e il divieto ai minori.
• Sanzioni adeguate: severe pene amministrative per le irregolarità e sanzioni penali nei casi di condotta fraudolenta o di reati in materia di stupefacenti.

Con un impianto di questo tipo lo Stato garantisce entrate fiscali certe, il consumatore è tutelato, la criminalità perde terreno e gli operatori onesti possono continuare a investire in ricerca, certificazioni e nuove applicazioni green.

Onorevoli Deputati, la sicurezza è un valore che tutti condividiamo. Ma non si ottiene distruggendo i comparti agricoli legali: si ottiene separando con rigore ciò che è lecito da ciò che non lo è. L’articolo 18, così com’è, non lo fa: crea confusione normativa, espone l’Italia a infrazioni europee, impoverisce territori già fragili e regala domanda alla criminalità.
Vi chiedo pertanto di stralciare o, in subordine, riscrivere profondamente l’articolo 18, allineandolo al diritto dell’Unione e ai principi di proporzionalità. Contestualmente propongo l’istituzione di un tavolo tecnico immediato con il Ministero dell’Agricoltura, gli istituti statali competenti e i rappresentanti della filiera, affinché in poche settimane si rediga un regolamento chiaro, notificato in sede europea e pienamente applicabile.

Scegliamo il buon senso, non l’ideologia. Difendiamo la legalità vera, il lavoro reale.

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